Il nostro tempo.

EvaDorme

Ci sono i calcinacci nei terrazzi e una decina di persone che trapanano mura, tubi, ringhiere della casa. Stanno appesi a cavi, indossano caschi, sono (s)vestiti in maglietta di cotone sbracciata con venti sotto zero. Ieri ho loro offerto caffè e tea, ma si deve essere sparsa la voce che li faccio uno peggio dell’altro e hanno rifiutato. C’è un gruppo su facebook, gente che non va a cena da Juanita per non dovere bere il caffè. Siamo tutti impalcati, imbracati, aggirati da tubi, scale e travi di legno. Il muratore capo si sfrega spesso le mani quando entriamo nel condominio. L’amministratore parla a occhi chiusi, come se vedesse la Madonna.

Per paura che utilizzando le impalcature mi entrino in casa i ladri, agili e magri, vivo giorno e notte con le tapparelle abbassate – sembra un casino, invece di una casa. Metto anche i tappi gialli nelle orecchie durante le trapanature. Mezza Pinta c’è abituata, dico alla mia sordità: sa che deve venire da davanti a dirmi le cose, possibilmente scandendo a bocca larga, così capisco cosa dice.

Ho preso questa fissa per la radiolina di Parigi e sto cucinando di conseguenza: solo cose fini. Fagiolini. Uovini à la coque. Macedonia bianca. Certo che se tu fossi qui metteresti una delle canzoni orride che ti garbano a te, e mi toccherebbe cucinare hamburger di vacca stanca, patatine fritte con maionese, quella roba lì.

Ti penso spesso in questi giorni in cui ho bisogno di un’extra dose di benzina esistenziale, cerco di andare veloce e piena di speranza anche quando mi pare di stare sotto un pino che cade. Ti parlo, ti interrogo, faccio come i bimbini piccini – allora ora se si muove quella persona vestita di verde vuole dire che mi stavi ascoltando. E si muove. Allora se ora torna indietro vuole dire che devo fare così, se invece attraversa la strada devo fare cosà. Segue movimento e decisione presa così, fra colori e sensazioni. Se esiste un crimine di superstizione mista a preghiere, di profano e sacro, a me mi danno sessantanni.

I muratori dovrebbero stare per finire, qua fuori. Stasera credo voleranno a Stoccolma a ritirare il nobel per il Lavoro: non fanno colazione, arrivano alle sei del mattino e smettono alle undici di sera, niente pausa pranzo. Molto probabilmente lavoreranno anche durante il fine settimana, acciocchè io possa conservare l’emicrania a grappolo che mi ha trainato fiera fino a questo venerdì pomeriggio.

Ho passato la giornata a pensare a te e facebook: ho la convinzione che non avresti avuto un account. Ho la certezza matematica che avremmo litigato (anche) su questo all’infinito, te e la tua mania da maniscalco di fare tutto a mano. Nemmeno il telefono c’avevi dietro, t’immagini un notebook con facebook. No, peggio, uno smartphone. Ma siccome sei una capra tecnologica, lo farò io per te: vorrei fare una bella pagina su facebook con “In The Name of Love” e i gruppi che suonano. Se mi casca la cornice in testa, stanotte, mentre dormo, voleva dire che non ti garba l’idea.

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Author: juandpaola

Juanita è una donna di trentacinque anni che da grande voleva fare la rockstar, ma ha aperto una società di redditi immobiliari, ha una bambina di quattro anni che adora e un quasi marito inglese che parla l'Italiano peggio di Don Lurio. Se Giulia fosse ancora viva molto probabilmente Juanita sarebbe la sua tour manager.