Vado in chiesa da quando sono piccola, e mi siedo al coro pressappoco dallo stesso momento. Per me andare a Messa e non cantare è una roba che non torna, e soprattutto non lo so fare, è un mio limite.
- Inizio senza canto = mi devo ancora svegliare;
- santo senza santo = deve essere un funerale, altrimenti non si spiega;
- comunione senza canto = mi butto di sotto dalla finestra;
Questo è lo stream di pensieri che mi viene automatico quando vado a messa, e devo dire che appartiene anche ad altre persone, non solo a me, e non è merito mio se sono così, ma è merito della famiglia da cui provengo se ho questa deformazione musicale.
Ricordo, quando avevo 15 o 16 anni, credo, di aver atteso un particolare Cantagiovane come se fosse stato il festival di Castrocaro: era un anno particolare, perchè ognu gruppo doveva portare una canzone conosciuta (cover? si puo’ dire?) e una canzone scritta appositamente, entrambe di tipo liturgico, su argomento (liturgico) a piacere.
La fatica, le proposte misere, l’idea, un parto difficile e poi la “creatura” che prendeva forma, e si cantava a ricantava, come se non ci mancasse mai il fiato. come se significassimo tutte le parole che cantavamo, come se la voce arrivasse fino in cielo.
Fu un trionfo, la nostra canzone di allora adesso fa parte del patrimonio silente e generoso di molte parrocchie, del patrimonio “gratuito” di sapere musicale che ha formato tanti di noi, alla musica e alla vita.
Poi si torna in parrocchia, e una mattina ci viene in mente di suonare, come canto finale, una melodia non cantata: allora c’era il basso e la chitarra elettrica, oltre all’acustica, a volte le percussioni, il tutto combinato con l’organo, suonato di volata per ovviare al ritardo cronico del suono dell’organo rispetto ai suoni elettrici.
Mi ricordo che sentii degli arpeggi e canticchiai Patience, dei Gun’s: eera bellissima, eravamo bellissimi, ed era normale offrire qualcosa di splendido per noi, anche se non conforme, anche se non secondo le regole.
Mammamia, mi ricordo che dall’altare scese uno zelante, un puro, e ci iniziò a dire che eravamo la rovina della chiesa, che bisogna avere rispetto, che quella era musica che in chiesa non c’entrava niente, urlando e con una foga incredibile.
Il risultato fu che ci siamo lentamente sopiti, fino a svanire quasi, nella conformità: alcuni sono fuggiti a gambe levate, inneggiando a Giordano Bruno, altri si sono semplicemente disamorati, altri ancora si sono talmente annoiati da aver riparato presso i focolarini.
E poi la circolare dal vaticano, mal interpretata dai parroci, dove si specificava che strumenti eccessivamente rumorosi non andavano bene a Messa. Via tutto, dentro solo la conformità.
E invece… Servo per amore fatta con le percussioni sembra una bella canzone… i canti Taizè fatti a cappella e con il solo
battito di mani sono splendidi. Cantare una canzone degli U2 con “altre” parole, è bello. Giulia e Juanita si inventarono More than words = La Parola, oppure No sacrifice = Si stringe il cuore ( o come si chiama…) altri si sono inventati una versione di I still haven’t found what I’m looking for in italiano, chissà quale è il titolo.
Mi chiedo, e vi chiedo: qual’è la prospettiva giusta, in questa vicenda? dove sta l’equilibrio?
fino a dove si puo’ arrivare? (by Alessandra)
Sostenere che la “rovina della Chiesa” dipende dai ragazzi che suonano questo o quel pezzo basta a spiegare da che cosa dipende in realtà la “rovina della Chiesa”.
Io rimpiango ancora oggi di non aver fatto cantare alla Genny “Hallelujah” di Leonard Cohen al mio matrimonio…
P.S. “Cover” si può usare tranquillamente. “Coverband” è fortemente sconsigliato, invece. ;-)