Amo, spero

Penso all’amore, ed è bene che lo faccia: quando ho finito tutti i miei detti preferiti – copro da Bukowski a Churchill passando per i muratori fuori casa mia, quando ho finito di dispensare consigli a tutte le mie amiche che hanno una storia vera, di quelle con marito sotto Rohypnol calcistico e non, inizio io. Con il mio quasi matrimonio per corrispondenza. Difatti quando guardo i documentari sui carcerati con le amiche – niente di meglio di mille uomini cattivi in prigione – e parlano delle donne che gli scrivono e poi ci si sposano, povere dementi, io in genere non infierisco. Mi ci sento affine.

Quindi. Quella che guarda il cellulare pensando ora lo chiamo anche se la tariffa è un orrore, sono io. Quella che poi chiama, sente suoni che non conosce e si frustra, sarei sempre io. Meglio non sapere troppo, meglio non sviscerare ogni dettaglio e andare per le macro, aiutandosi con una sana fede medievale mista a superstizione positiva. “Meno male che s’è sposata e ha figliato, altrimenti che avrebbe fatto?”, penso sempre quando sento che la situazione diventa grottesca – e mi consola.

L’amore, se non diventa uno sguardo lungo verso l’eternità mi sa che per me non riesce a funzionare – c’è chi sostiene che gli amori passionali si portano dietro violenza e malessere, ma me lo ricordo solo perchè in qualche modo mi dà ragione. Più di tutto mi importa di non dare noia, di diventare la coperta di lana sul divano per chi cerca conforto e calore. Meno male che gli anni in cui mi sento stonata stanno passando, meno male che si va verso il brodo caldo del lunedì sera e la passeggiata a braccetto della domenica mattina, magari verso una messa in cui non si crede: altri dieci anni di fammi vedere cosa sai fare se è vero che mi ami e mi recido l’aorta.

Mi piace l’amore da madia con il pane del giorno prima, la noia dell’affetto, la di lui trasmissione preferita che mi fa schifo e si guarda assieme con i (miei) piedi da massaggiare – perchè le donne stanno un sacco ritte e mentre escono si portano dietro la spazzatura. Filodemo mi dice che scoppierò quando vivremo assieme, perchè io sono come i vecchi zitelli che arrotolano i calzini nel primo cassetto e sono felici di ritrovarli lì, divisi per colore e lunghezza. Magari è vero, come pure è assodato che in Inghilterra l’acqua ti ammazza i capelli e io come faccio se non mi si arrotolano attorno al viso? Sembro un bracco, con quegli occhi in giù, se si deprimono stesi e unti attorno alle gote. L’acqua è dura, come la gente.

Ma Filodemo mio adorato, pur conoscendomi come le tue tasche, non sai che covo amore sotto la scorza da tartaruga secolare, e che forse sono più entusiasta ma preparata di chi si lascia trasportare? A dirti tutta la verità, non andrei mai via di qui (se mai mi riuscirà) se non sapessi che esiste per me un tutto nuovo dove posso fare finta di avere un passato diverso. Credo che il futuro sia sempre scontato, che sia meno imprevedibile dei ricordi. Pensa al lusso di potere cambiare le carte, quelle buone e quelle cattive, che ci hanno portato a questa mano: non è cosa da poco.

Posso solo raccomandarti di preparare una vecchiaia che ti sia, che mi sia attinente. Un luogo futuro dove passeremo un sacco di tempo assieme senza dovere giocare a burraco, dove avremo una fetta di torta sconosciuta ad entrambi – e la guarniremo, non sai come. Ti dirò che ho passato ventanni straordinari e sarà una bugia benevola, mi dirai che ti sei trascinato all’infinito in una storia che non volevi, salvo scoprire che invece la volevi. Saremo felici, Filodemo, perchè ci leghiamo a luoghi immaginari, con ricordi fittizi e amore infinito: siamo uomini – e donne – con cuore e poca pecunia, non c’ammazza niente e nessuno.

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Author: juandpaola

Juanita è una donna di trentacinque anni che da grande voleva fare la rockstar, ma ha aperto una società di redditi immobiliari, ha una bambina di quattro anni che adora e un quasi marito inglese che parla l'Italiano peggio di Don Lurio. Se Giulia fosse ancora viva molto probabilmente Juanita sarebbe la sua tour manager.