Giulia mi prendeva amorosamente sempre in giro, mi chiamava ambarabaccicciccoccò – la figlia del dottore. Non lo faceva davanti agli altri, certo, Giulia non usava distruggere gli altri per inquadrare sé stessa, ma quando ci trovavamo a casa della Rita me lo diceva (eccome), ridendo. La figlia del dottore che non ha mai imparato a fare la lavatrice, che andava a giro con i tacchi alti anche quando si trattava di scalare una collina e suonare davanti al fuoco. Giulia, invece, no.
Lei era libera, temporaneamente attaccata alla chitarra, forse, ma veloce e felice come solo le persone che non hanno da trascinarsi dietro le collezioni di porcellane. Ecco, mettiamola così: se avesse abitato una nave e la nave fosse andata a fondo, molto probabilmente avrebbe avuto da gestire solo trenta chili di cassette. E il giubbotto ripieno a balze.
La libertà, e la fede – non quella delle signore con la pelliccia d’ermellino la domenica mattina -, sono state la ricerca più grande che Giulia mi ha lasciato, e il percorso continua ancora.
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