Non ci si può arrendere, certo.

Juanita de Paola

Del sabato mattina mi piacciono i giornali: escono con gli inserti che piacciono a me. Colori chiari, box con dentro concetti e parole quadrati, corretti. Poche foto di moda limitate a quattro pagine se si escludono le pubblicità, non ho capito a cosa serva in assoluto un servizio sui vestitini. Ma che vuoi che me ne freghi a me se quella si mette un cappotto arancione strizzato in vita e gli stivaletti a tronchetto: io non li indosserò mai, a meno che non voglia sembrare una delle Tutine di Zelig. Comunque. E’ il giorno per leggere, il sabato, e per pensare alla mia fede – voce del verbo Ricercare Dio Da Qualche Parte. Non che io l’abbia perso, no. Ho come l’impressione di non averlo mai incontrato, ma che potremmo essere amichevoli, almeno.

Ne sento l’esigenza e visto che parlo con te su base quasi giornaliera sarebbe bene che non fosse perchè sono pazza ma perchè effettivamente ci rincontreremo da qualche parte. Sempre che si sia destinate allo stesso luogo, ma insomma, sarebbe il massimo del minimo se non fosse così.

Comunque il sabato mattina cammino piano piano verso il baretto in fondo alla via e passo dal giornalaio che puzza di sigarette per accattarmi i miei quotidiani. Ne avessi letto uno da dieci anni a questa parte – leggo solo l’inserto, e nemmeno tutto. Ci sono le proposte per i dischi belli, imperdibili: regolarmente li ascolto e mi fanno schifo. Mi sento più portata per le ricette anche se non so cucinare.

Non ci siamo mai scambiate un libro, questo è certo. Ci siamo dette parecchio senza dirci nemmeno una parola, questo sì. Specialmente quando mi trascinavi a uno di quei convegni di gente che suonava e pregava per poi schiantare a ridere guardandomi in faccia. Temo tu lo facessi apposta. Si poteva solo suonare per andare d’accordo, anche questo è chiaro. Ti ricordo a casa di Eva le litigate furiose e quel cucinotto, bellissimo, con quell’atmosfera così strana. Molto tea. Solo io bevevo vino.

Non ci si può arrendere cara mia. Bisogna amare l’errore. La svista. Bisogna imparare ad accarezzare le devianze altrui – l’affetto implacato, la loro capacità di stracciarci i nervi in pezzetti, i buchi che ci fanno dentro lo stomaco. Bisogna pacificarsi con gli orrori degli altri per iniziare un percorso salvifico di serenità, che ci riporti al centro, che rimetta l’ombelico nell’ombelico e il cervello nel cervello – non tutto storto, come quando si vive di precetti. Non ci si può trattenere: bisogna amare con furore, sapendo che se ne va nel vento.

Siamo gli unici beneficiari del perdono umano, quello che non ha bisogno di una scusa – la fede, l’interesse, la convenienza. Siamo i portatori (poco sani di mente) che si guardano negli specchi altrui e si riconoscono anche quando diventa tutto deforme. E piano piano ci piacciamo sempre di più. Questo io ancora porto dietro di te, con me: mi prendevi, così com’ero. Ti specchiavi, vedendo quanto fosse deforme quell’immagine che ti rimandavo, accettando le aspettative deluse e ripagandomi con affetto a getto continuo. Questo sei, per me, ancora oggi. Continuo, ancora oggi, grazie a te – e vediamo che ne viene fuori.

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Author: juandpaola

Juanita è una donna di trentacinque anni che da grande voleva fare la rockstar, ma ha aperto una società di redditi immobiliari, ha una bambina di quattro anni che adora e un quasi marito inglese che parla l'Italiano peggio di Don Lurio. Se Giulia fosse ancora viva molto probabilmente Juanita sarebbe la sua tour manager.